Alexandra ci chiede di attenderla qualche minuto per poter terminare un lavoro e allora cogliamo l’occasione per esplorare quello che ci circonda e che ci aiuta a entrare nella storia di questo luogo, che ci appare già speciale: le pietre bianche che costellano la terra tra gli ortaggi e ci ricordano i terreni dell’Italia meridionale, così diversi dai terreni più scuri e uniformi dell’Alto Adige, il disegno inusuale delle gombine, le aiuole folte di fiori alti e variopinti.
Quando Alexandra ci raggiunge insieme al compagno Peter, le nostre domande, già tante, incontrano il piacere di entrambi di raccontare la propria esperienza: percepiamo immediatamente la passione sincera che li anima, l’idealismo e la speranza di contribuire, attraverso la realizzazione di un sogno, alla cura di un mondo sofferente.
Succede spesso che le storie pioniere abbiano radici lontane e che nascano dalla capacità di chi le vive di non dimenticare i ricordi dell’infanzia: raccogliendo i segni che spolverano l’esistenza e riconoscendo le connessioni che li lega, queste persone sanno, quando finalmente si presenta, cogliere l’occasione che darà concretezza alla loro vocazione.
Ci accomodiamo in cerchio nel luogo preparato per noi in giardino con acqua fresca e carote appena colte, dolci e intense. Peter è incontenibile, la nostra curiosità intorno a ciò che vediamo lo invita a entrare nel dettaglio e non è facile portarlo alle origini del progetto. Alexandra ci aiuta prendendo dolcemente la parola. Ci racconta che il suo sogno nasce dalla cura e dall’attenzione che la circondavano da bambina: “I miei genitori erano molto attenti all’alimentazione. Avevamo un grande orto, che amavo, e mi piaceva l’idea di poter essere autosufficiente”.
Dal seme di quell’attenzione cresce in lei il desiderio di vivere nella natura e di dedicarsi all’agricoltura, un desiderio che non l’abbandona nemmeno durante gli studi universitari a Urbino, nelle Marche, ma che anzi matura sempre più, nutrito anche dall’incontro con alcuni agricoltori biodinamici. L’opportunità di concretizzarlo si presenta all’improvviso, finiti gli studi, quando Alexandra scopre che un suo prozio le ha lasciato in eredità un grande maso abbandonato circondato da boschi e prati, a Favogna.
A quei tempi Peter, già suo compagno di vita, è impiegato nell’industria metalmeccanica e Alexandra lavora da qualche anno come grafica, ma l’occasione appare a entrambi imperdibile. Decidono di accogliere la sfida e cominciano a esplorare le possibilità offerte da questo luogo speciale. Il prozio, persona colta e sensibile, aveva un rispetto profondo per la natura e per le sue creature e aveva scelto di lasciarla libera di prosperare. Alexandra e Peter, suoi eredi materiali e spirituali, riconoscono la necessità di intervenire con delicatezza per preservare quell’equilibrio che li circonda: entrambi desiderano che i prodotti della loro terra possano contribuire a trasformare coloro che nutriranno, portando in sé la vitalità che viene dalla cura e dal rispetto di tutto ciò che è significativo.
Peter ci racconta che tutto ciò che vediamo ora è il frutto di un processo impegnativo. Il maso, appena ereditato, era pericolante e non poteva ospitare la coppia. Era in montagna, lontano più di un’ora dalla città a valle in cui Alexandra e Peter lavoravano e abitavano. La decisione di abbracciare pienamente il cambiamento è arrivata dopo anni vissuti a barcamenarsi tra la montagna e il fondovalle, tra lo sconosciuto e il conosciuto, tra la visione di un sogno ardito e la sicurezza di una modalità di vivere che non li appagava più: “Continuavamo a lavorare in città e passavamo il tempo libero e i fine settimana a lavorare la nostra terra. L’andirivieni era estenuante, ma ci siamo presi il tempo necessario per capire se sarebbe stato possibile vivere con il commercio degli ortaggi, perché qui da noi sono tutti esperti di mele o di uva ma di insalata nessuno sa nulla. Quello che volevamo era vivere e lavorare nello stesso luogo e speravamo con tutto il cuore che il nostro progetto potesse funzionare”.
Non si sono persi d’animo. Decisi a lasciare il lavoro e abitare il loro terreno, dopo un’estate trascorsa in una vecchia roulotte, hanno costruito con le loro mani una tiny house piccola piccola, su ruote, che conteneva tutto ciò che gli era necessario per mangiare e riposare tra il lavoro nei campi e quello dedicato alla ristrutturazione della casa.
A poco a poco quella di dedicarsi anima e corpo al loro progetto si è rivelata la scelta giusta. La sperimentazione degli anni precedenti, lo studio approfondito dei principi e delle tecniche dell’agricoltura biodinamica e lo scambio di esperienze e conoscenze con i contadini del luogo e dei dintorni hanno permesso a Peter e Alexandra di raccogliere, insieme agli ortaggi, molta soddisfazione. L’insegnamento più importante gli è stato trasmesso da una vicina di casa che gli ha suggerito di fare di meno: per risolvere al meglio una situazione problematica come la proliferazione fungina o l’infestazione da parassiti non occorre ricorrere a trattamenti complessi e dispendiosi, ma può essere sufficiente areare il terreno e nutrirlo con un buon compost. Peter parla del suo compost con l’entusiasmo di chi è riuscito nella creazione di qualcosa di prezioso: dagli scarti agricoli, dal letame degli animali e dalle canne che crescono intorno al maso riesce a produrre un fertilizzante che profuma di bosco e che fornisce alla terra pietrosa e facile al dilavamento le sostanze ottimali per la crescita degli ortaggi e di tutte quelle piante e quei fiori che, con l’aiuto di api, bombi e altri insetti, ne sostengono la prosperità e la salute. “Nell’agricoltura convenzionale vengono utilizzati molti prodotti specifici, erbicidi, fungicidi, insetticidi, che permettono di ottenere velocemente grandi quantità di ortaggi, ma di qualità inferiore, perché impoveriscono il terreno” ci spiega “Noi preferiamo fare tutto a mano , nutrire la terra col nostro compost e far respirare il terreno”.
Ci piace ascoltare Alexandra e Peter, perché dal loro sguardo e dalle loro parole traspaiono la passione e la cura per tutto ciò che fanno. Alexandra ci spiega che la preparazione dei trattamenti biodinamici prevede la dinamizzazione delle soluzioni. Mentre scuote il preparato con movimenti regolari entra in uno stato meditativo, ricco di presenza e benessere, che spera possa arrivare, in qualche modo, a chi sceglierà di comprare, cucinare e mangiare i prodotti del maso.
L’agricoltura biodinamica produce ortaggi e frutti di qualità superiore e non solo dal punto di vista organolettico e nutrizionale: secondo Steiner, infatti, i prodotti della terra sono strumenti di trasformazione spirituale e in quanto tali capaci di incidere nel percorso evolutivo dell’essere umano e dell’umanità. Alexandra e Peter riconoscono l’idealismo che permea le loro scelte e si domandano talvolta, e specialmente nei momenti di difficoltà e frustrazione, se con il loro sogno possono davvero contribuire a costruire un mondo migliore, dove ogni creatura possa vivere in equilibrio con tutte le altre.
L’incontro del sogno con la realtà li invita a una revisione continua della loro visione: cosa posso e cosa non posso fare con le risorse a mia disposizione nel confronto con ciò che è questo mondo ora, mentre porto con intenzione limpida e determinata i valori in cui credo?
Il bisogno di scambi immateriali, di esperienze, conoscenze ed emozioni, è molto sentito da Peter e Alexandra, che vivono in un luogo meraviglioso, baciato dal Sole fino a tarda sera, ma solitario. Per non rinunciare al piacere dell’incontro e della relazione con altri esseri umani, per sé e per il loro splendido bambino, Manuel, hanno deciso di aderire all’associazione Woof Italia, che riunisce le aziende biologiche e biodinamiche disponibili ad accogliere volontari da tutto il mondo, che offrono manodopera in cambio di vitto, alloggio e formazione. Il woofering permette al maso di godere di un aiuto pratico indispensabile e ai suoi proprietari di vivere incontri stimolanti e preziosi.
Prima di salutarci chiediamo a Peter e Alexandra se sono felici. I loro occhi sorridono mentre con lo sguardo si esplorano, curiosi di conoscere la risposta dell’altro. Il contatto con la terra e con le creature che la abitano nel tempo scandito dall’alternanza del giorno con la notte, delle stagioni e delle mansioni che ritornano li riporta continuamente al contatto con se stessi e con i loro bisogni e desideri più autentici e questo li appaga profondamente nel cuore. Entrambi sanno che la loro scelta è stata la scelta giusta, quella che accorda l’intenzione alla possibilità concreta di agire per il cambiamento, per un mondo in cui sia possibile per tutti assaporare il piacere di sentirsi parte e partecipi del tutto.
Contributo di Barbara Bussani • Foto di Patrizia Corriero thestorycrafter